Spettacoli

Casa Ghizzardi: mi richordo anchora

da Pietro Ghizzardi

Viaggio teatrale per piccoli gruppi di spettatori sulle tracce della vocazione artistica di Pietro Ghizzardi, uomo umile e incolto, che trova nella pittura, realizzata con materiali di fortuna, il senso della propria esistenza. In uno spazio che è al contempo domestico e interiore, abitato dalla presenza vivente delle opere pittoriche—ritratti di donne, omaggi a personaggi storici, leggende popolari e storie sacre—irrompe la forza di una vicenda unica che continua a produrre senso e a svelarsi allo sguardo dello spettatore in tutta la sua potenza
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Concerto per Jack London

Melodramma jazz d’amore e pugilato

Lo spettacolo è tratto da The Game, un racconto di pugilato al ritmo del miglior cronista sportivo quale seppe essere, tra le tante altre cose, Jack London, e, insieme, una commovente e straziante storia d’amore. Sullo sfondo la colonna sonora duttile e sulfurea della tromba di Bosso, artista di caratura internazionale, accompagnato dalla voce di Silvio Castiglioni e da Luciano Biondini alla fisarmonica
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Nel Labirinto

L’Italiano di Raffaello Baldini, da Autotem a In fondo a destra

La prima parte dello spettacolo, tratta da Autotem, comprende i seguenti ‘pezzi’ che, nel nostro adattamento, suonano così: Una Jaguar contro la malinconia; Da cosa nasce cosa; Meno scuole e più autostrade; Allargare, allargare, allargare; La patata di Camerano Calabro; Le virtù della mollica di pane; Il motore ad acqua; Un’infrazione pagata a caro prezzo; Caro Babbo Natale; Il funerale di Gemmano; La Flaminia parlante; Alfa Romeo Giulia SS; Il sesso è ancora un tabù; Ave Maria; La chiesa drive-in. La seconda parte, intitolata Diana e Renato, una storia d’amore, è una riduzione del monologo In fondo a destra
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L'uomo è un animale feroce

da Nino Pedretti

Un uomo prende la parola a un congresso di studiosi per esporre il suo punto di vista. Salito sul palco per un breve intervento, s’impadronisce del microfono e si abbandona ad alcuni soliloqui cui affida la sostanza della sua vita in forma trasfigurata
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Il silenzio di Dio

Silvio D’Arzo / Fëdor Dostoevskij

Uno stesso silenzio—il silenzio di Dio—risuona sia in Casa d’altri (tratto dal racconto di Silvio D’Arzo) sia in Domani ti farò bruciare (ispirato a I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij). Alla sommessa domanda di una vecchia che vorrebbe togliersi la vita, fa eco la furente requisitoria di un demone che vorrebbe incarnarsi. “Issato su un alto trespolo in una prima parte stilizzata alla Giacometti, sprofondato in una poltrona nella seconda dove lampeggiano squarci rossi alla Bacon, Castiglioni dà voce, corpo e vertiginosa profondità al tormento del dubbio che devasta l’uomo davanti a un Dio tragicamente silenzioso… Una prova d’attore di rara potenza, rigorosa e senza vezzi: perché quel che Castiglioni fa sulla scena è officiare il rito misterioso di una parola capace di rendere visibile l’invisibile” (Sara Chiappori). “Due testi sul vuoto della parola, che paradossalmente non possono che esprimersi in una rigorosa trama verbale… Una bella prova d’attore, percorsa da una forte tensione intellettuale” (Renato Palazzi)
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Sulla via del cannone

Un appassionato racconto teatrale, con finale a sorpresa, che rievoca un famoso episodio della cosiddetta ‘guerra bianca’ combattuta fra italiani e austriaci sui ghiacciai dell’Adamello nel corso della prima guerra mondiale. La storia di un grosso cannone da sessanta quintali, trainato dai soldati a forza di braccia fino a 3250 metri di quota nella primavera del 1916, ci offre lo spunto per una narrazione avvincente nel centenario della Grande Guerra
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Filò, viaggio di uno Zanni all'inferno

Ispirato al poema di Andrea Zanzotto

Nel Veneto il filò era la veglia dei contadini nelle stalle durante l’inverno. Fatti e sogni, nascite e morti diventavano rapidamente sostanza di racconto nel filò. Il vino, i giochi e le burle non mancavano mai, e la vigilia delle feste prima di andare a dormire compariva qualcosa da mangiare. Orfano del mondo contadino il nostro filò ruota intorno alla figura di un inquieto cantastorie, ossessionato dai ricordi e piegato dalle circostanze a indossare i panni di un indomito Arlecchino e di altre maschere della Commedia dell’Arte
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Casa d'altri

Radiodramma teatrale dal racconto di Silvio D’Arzo

"Un racconto perfetto", lo ha definito Eugenio Montale sulle pagine del Corriere della Sera, dopo la morte di D’Arzo, scomparso a soli 32 anni. Casa d’altri è un giallo dell’anima. Una domanda che ammutolisce chi è chiamato a rispondere. Una suspense che il silenzio non scioglie. Una verità da ascoltare voltati da un’altra parte. "L’incantevole modestia del capolavoro di Silvio D’Arzo funziona benissimo anche nella riduzione teatrale… Una cornice di specchi per il parroco di paese tallonato da una fantasmatica vecchietta che lo cerca fingendo di sfuggirgli per chiedergli un’esenzione dai precetti che lui non le potrà consentire" (Franco Quadri). "Castiglioni scarnifica la prosa di D’Arzo, la priva del suo lirismo e ne mostra, al di là degli accenti invece colloquiali, la durezza di fondo." (Franco Cordelli
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Domani ti farò bruciare

Invettiva da I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij

Domani ti farò bruciare_è un’invettiva violenta e malinconica. Un "presto con fuoco" in bilico tra il sublime e il burlesque. Un finale di partita tra un demone di mezza tacca e un Cristo consegnato al silenzio. Un interrogatorio che si rivela una confessione. Uno specchio ustorio in cui l’aguzzino e la vittima finiscono per fondersi in un’unica figura. "Grottesco processo a Cristo, per opera di un funzionario della fede, che incalza, irride, arrogante, luciferino e nevrotico, in un’inquietante dissociazione tra dire e agire che lo rende contorta marionetta di se stesso, aggrappato a una sedia, nel rosso alla Francis Bacon in cui è immerso" (Mario Brandolin) "Chi ha visto Silvio Castiglioni ridire le parole immortali dei Karamazov di Dostoevskij ha ricevuto pugnalate negli occhi: lo straordinario demone-burocrate, un po’ figura evocata da Matrix un po’ travet, resa terrifica dall’innumerevole lotto di tic, inquieta, ed è teatralmente doc" (Davide Brullo
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Il vampiro

O le confessioni mancate

Destinato a un’immensa fortuna letteraria (dal Dracula di Stoker alla recente saga di Twilight) e cinematografica (dall’espressionismo tedesco a Hollywood), il signore della notte, il non-morto che si nutre del sangue di creature giovani e belle, nato dalla fantasia popolare e tenuto in vita dalla tradizione orale, conquista la dignità letteraria nel 1819 grazie al ventunenne John William Polidori, segretario di Lord Byron e autore del racconto Il Vampiro. Intorno alla metà di quel secolo (tra il 1855 e il 1864) il folclorista Aleksandr Afanasjev dà alle stampe una raccolta di antiche fiabe russe, una delle quali si intitola Il Vampiro. A quella fiaba si ispirerà Marina Cvetaeva per il suo poema Il Prode, pubblicato nel 1924 a Praga e poi illustrato da Natal’ja Gončarova, incontrata dalla Cvetaeva nel comune esilio parigino
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Un po' d'eternità

per Osip e Nadežda Mandel’štam

Un po’ d’eternità è dedicato a Osip Mandel’štam—“il più grande poeta in lingua russa del novecento, sottratto alla conoscenza dei suoi contemporanei” secondo Pasolini—e a sua moglie Nadežda, custode dei versi del marito, mandati a memoria per eludere la censura sovietica. L’intento è disegnare il ritratto di un artista senza biografia, che sfugge alla prossimità e cerca la distanza, che si dichiara “ostile a tutto ciò che è personale”
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Storia della colonna infame

Da Alessandro Manzoni

A conclusione dei Promessi Sposi non compare la parola ‘fine’, spostata invece al termine della Storia della Colonna infame, l‘appendice al romanzo. Il Manzoni ci invita così a proseguire la lettura, mettendoci in guardia da una frettolosa soddisfazione per l’esito felice della vicenda di Renzo e Lucia. Nella realtà le cose sono andate diversamente: e se il romanzo è la storia di un desiderio di casa, l’appendice è la storia della distruzione di una famiglia. Le troppe occasioni in cui si materializza, ancora oggi, lo schema perverso del capro espiatorio ci hanno convinto a rimettere mano al fortunato spettacolo presentato al CRT di Milano nel 2011. Un gesto apotropaico, il nostro, come la febbrile scrittura del Manzoni, che entra nelle pieghe di quest’atroce vicenda del ‘600 per contrastare l’eventualità che si ripresenti
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