PROSSIMI EVENTI
25 gennaio 2025
VIAGGIO IN ARMENIA
Spazio al Funaro, Pistoia
2 marzo 2025
L’UOMO È UN ANIMALE FEROCE
Mentre vivevo, Poggio Berni
3 marzo
L’UOMO È UN ANIMALE FEROCE
Teatro Volta, Pavia
18, 19, 20 marzo 2025
VIAGGIO IN ARMENIA
Galleria Santa Croce, Cattolica
5, 6 aprile
I PERSIANI
CastOro Teatro, Rimini
27 giugno 2025
VIAGGIO IN ARMENIA
Festival InEquilibrio, Rosignano Marittimo

VIAGGIO IN ARMENIA
liberamente tratto dal libro di Osip Mandel’stam, a cura di Serena Vitale
riduzione e adattamento Silvio Castiglioni e Giovanni Guerrieri
interprete Silvio Castiglioni
oggetti, scene e costumi Giulia Gallo
immagini Patrizio Esposito
regia Giovanni Guerrieri
una coproduzione Celesterosa / I Sacchi di Sabbia per Le Parole di Hurbinek 2025
col sostegno di Mic, Regione Toscana, Regione Emilia-Romagna
in collaborazione con Armunia e Comune di Cattolica
“Non c’è nulla di più istruttivo e gioioso che immergersi nella compagnia di persone di una razza diversa dalla nostra" (O. Mandel’stam). Perché un piccolo libro del “più grande poeta in lingua russa del Novecento, sottratto alla conoscenza dei suoi contemporanei” (P. P. Pasolini) ci sembra così importante?
Dietro l’apparente appartenenza a un genere – il diario di viaggio ma anche la letteratura di missione – nella pagine di Viaggio in Armenia si cela una scrittura che si fa “grafico di una costante diserzione”. E proprio in questa diserzione emerge il carattere politico di un libro che a un primo sguardo può apparire mite e perfino svagato; e però evoca un’Armenia fuori dal tempo e disattende le aspettative dei suoi committenti, sfuggendo al compito di celebrare i presunti successi del primo piano quinquennale sovietico. La sfida al nuovo potere non lascia spazio a ulteriori dilazioni, e con la pubblicazione del Viaggio – prima ancora della celebre poesia su Stalin, il montanaro del Cremlino, per cui fu ufficialmente incriminato – Osip Mandel’štam si consegna definitivamente nelle mani dei suoi carnefici, portando così a compimento il suo destino.
Segreta riflessione sul tempo, la memoria e la morte – e straordinaria metafora di resistenza e di vitalità – Viaggio in Armenia è un sereno, luminosissimo addio; un rito d’addio. Il testo ideale per tratteggiare il profilo di un artista che si dichiarava ostile a tutto ciò che è personale, in tempi intossicati dall’inganno dei reality e dall’illusione della vita in diretta.

I PERSIANI di Eschilo
La tragedia più antica del mondo
con Silvio Castiglioni; spazio scenico, oggetti e regia I Sacchi di Sabbia
traduzione dal greco Francesco Morosi, voce Marina Mulopulos
sound designer Gianmaria Gamberini, la canzone finale è cantata da Simone Bettin
produzione Celesterosa in co-produzione con I Sacchi di Sabbia, col sostegno di Regione Emilia Romagna, Comune di Cattolica, Regione Toscana, Mic
https://youtu.be/-Zdgc__9hN4?si=oSzCUrkfFaYU7ClK
Quando nel 472 a.C. ad Atene va in scena la tragedia più antica del mondo, I Persiani di Eschilo, sono passati appena otto anni dalla guerra combattuta dagli Ateniesi contro l’esercito di Serse che ha invaso l’Attica e distrutto la città. Alla fine gli Ateniesi avevano annientato l’aggressore nella battaglia navale di Salamina, ma le ferite di quell’attacco recente erano ancora aperte e ben visibili a tutti.
Con un sorprendente rovesciamento di prospettiva, Eschilo – che secondo i racconti antichi aveva combattuto a Salamina – abbandona ogni trionfalismo e ambienta la vicenda a Susa, la capitale persiana. Gli anziani cittadini rimasti e la madre del re sono in preda all’angoscia perché l’esercito è ancora lontano in guerra e non se ne sa niente. E quando finalmente, dopo l’arrivo della notizia della catastrofe che ha travolto i Persiani, compare in scena Serse, il Gran Re, di ritorno a Susa dalla disastrosa spedizione in Grecia, Eschilo lo presenta agli Ateniesi come un reduce miserevole, degno di pietà, inducendo gli spettatori a commuoversi per il suo dolore.
Silvio Castiglioni e I Sacchi di Sabbia ambientano la tragedia più antica del mondo in un rarefatto "teatro di oggetti", che sembra uscito dalle tele di De Chirico. I versi di Eschilo, tradotti da Francesco Morosi, si posano su volumi metafisici, mute pedine mosse dall’attore su un tavolo-palcoscenico, unico elemento scenografico. Ne nasce una miniatura, che ci restituisce un Eschilo in purezza in cui riecheggiano più forte che mai i suoi antichi inviti: primo tra tutti considerare l’altro, anche quando è il nemico, come una parte di noi stessi.
Raffaella Viccei su I PERSIANI
https://www.visionideltragico.it/blog/contributi/persiani-di-eschilo-i-sacchi-di-sabbia-e-silvio-castiglioni

ABITARE LA TERRA Teatro in cammino
Liberamente ispirato a testi di A. Moresco, W. Herzog, W.G. Sebald, W. Szymborska, N. Pedretti, G. Clement, R. Powers, G. Caproni, A. Zanzotto.
Elaborazione drammaturgia e interpretazione Silvio Castiglioni; installazioni Georgia Galanti
Un’azione teatrale itinerante che esplora alcuni aspetti del nostro rapporto con il pianeta percorrendone a piedi un minuscolo frammento. Nel cammino sono evocate azioni riparatrici e magiche, ingenue e prodigiose: scongiurare l’estinzione della nostra specie mettendo a dimora una piantina in un bosco di tigli; carpire alla pietra il suo segreto bussando con insistenza alla sua porta; salvare un’amica da una grave malattia camminando da Monaco a Parigi d’inverno; parlare coi morti rievocando le onoranze funebri tributate loro anticamente in Corsica. Storie che trapassano dall’invettiva alla tragedia, dalla cronaca all’apocalisse, imboccando vie misteriche stregonesche e popolari. Dove il confine fra mondo dei vivi e mondo dei morti mostra tutta la sua precarietà. Per piccoli gruppi di spettatori / pellegrini disposti ad accettare la disciplina del silenzio per di calmare la mente e ottenere una buona disponibilità all’ascolto: della terra, dei viventi e della luce. Il silenzio come dono reciproco, in una solitudine condivisa. “Un collage di testi, ispirato, spirituale, misterioso e sottile”

LA LUCINA
tratto dal libro di Antonio Moresco; adattamento Silvio Castiglioni
con Silvio Castiglioni e Georgia Galanti; scene e regia Fabrizio Pallara
“Sono venuto qui per sparire, in questo borgo abbandonato e deserto di cui sono l’unico abitante.”
Un uomo si è ritirato a vivere in solitudine, lontano da tutto, in una casa di pietra in mezzo al bosco. Ogni notte, però, un mistero turba il suo isolamento: sempre alla stessa ora, il buio del bosco è perforato da una lucina che si accende dall’altra parte della valle. Che cosa sarà? L’abitante di un altro paese deserto? Un lampione dimenticato che si accende per qualche contatto elettrico? Un ufo? Un giorno l’uomo si spinge fino al punto da cui proviene la luce. Ad attenderlo trova un bambino, che vive anche lui da solo nella sua casa in mezzo al bosco, e sembra uscito da un’altra epoca o, davvero, da un altro pianeta. Chi è quel bambino? E quale rapporto lo lega all’uomo? Una storia sorprendente, piena di mistero e consolazione.
In scena un filo sospeso che segna un confine fra il dentro e il fuori. Sul confine sono stese delle lenzuola che raccontano di un lungo sonno da cui l’uomo si sta svegliando. Le lenzuola gocciolano, grondano memoria, l’uomo la raccoglie e la trasforma in parole, dense e misteriose. La memoria riaffiora lentamente e sporca con apparizioni quelle bianche stoffe pesanti. Luci e ombre, immagini infantili, colori lividi e antichi andranno a disegnare la trama sul confine che aspetta di essere attraversato. Il bambino disegna alle sue spalle, ricorda, si sporca, cancella, si fa lanterna magica, mostra le sue mani al lavoro in un gioco di specchi, amplificato e reso possibile dall’uso di una telecamera che riprende il suo incessante fare. Il bambino è nascosto nell’ombra ma il suo urlo silenzioso è ciò che muove la lingua dell’uomo che ora non può più smettere di parlare. Ha bisogno di capire cosa è accaduto, cosa gli sta accadendo e come in un giallo cerca l’assassino, mettendo a fuoco e sfocando l’intimità dei dettagli. Quel bambino si nasconde alle sue spalle, lo aspetta, lo chiama, gli domanda cose a cui dovrà rispondere mettendo in gioco tutto quello che gli resta. Ora non può più nascondersi, quella lucina lo ha stanato.
L’uomo racconterà rivivendo tutta la storia occhi negli occhi con gli spettatori che si faranno testimoni di una rinascita di morte. Uno spettacolo visionario e realistico al tempo stesso, unico modo per raccontare di quello che siamo costretti a uccidere per crescere e cosa dobbiamo dover accettare per morire sperando di poter sognare.
La lucina di Antonio Moresco (Mondadori, 2013)
Silenzio. Nessuna vita umana. Eppure, nello spazio incantato e feroce della Lucina la vita pulsa, elettrizzata: nelle rondini che solcano il cielo a becco aperto per ingozzarsi d’insetti, negli occhi cerchiati di bianco dei tassi impauriti nella notte, nel tormento dei vegetali che sgretolano le pietre con la pressione delle loro piccole radici, nella ferocia dei rampicanti che soffocano gli alberi morenti, nelle masse di gas incendiato che bucano il buio e che chiamiamo stelle. Tutto continua a morire, a rinascere, a morire di nuovo: “ogni cosa dentro lo stesso cerchio del dolore creato”.
Eppure in questa fiaba toccante e ultimativa, dove la morte è nella vita, il bambino morto è nell’adulto, una lucina si accende nella notte, ogni notte. (Carla Benedetti)
Un progetto di Celesterosa Associazione Culturale, in collaborazione con Ufficio Teatro / Assessorato alla Cultura del Comune di Cattolica, Museo della Regina e SEM libri – Milano. Col sostegno di Regione Emilia Romagna

CONCERTO PER JACK LONDON con Fabrizio Bosso tromba, Luciano Biondini fisarmonica, Silvio Castiglioni adattamento e voce
Un omaggio al giornalista e scrittore statunitense più tradotto e più amato, padre di Zanna Bianca e del Richiamo della foresta, ma anche cercatore d’oro, pescatore di ostriche, vagabondo, attivista sociale e tanto altro, che divenne ricchissimo ed ebbe un enorme successo grazie ai suoi romanzi.
Lo spettacolo è tratto da The Game, un racconto di pugilato al ritmo del miglior cronista sportivo quale seppe essere, tra le tante altre cose, Jack London, e, insieme, una commovente e straziante storia d’amore. Sullo sfondo la colonna sonora duttile e sulfurea della tromba di Fabrizio Bosso, artista di caratura internazionale, accompagnato dalla voce di Silvio Castiglioni e da Luciano Biondini alla fisarmonica.
*Testo in corsivo*Testo in corsivo
"Un bambino con un pennello in mano non è un bambino che impara a dipingere, ma un bambino che impara a essere." — Arno Stern
CLOSLIEU – LA STANZA DEI COLORI
Esiste un luogo nel quale tutti, piccoli e grandi, senza formalismi e liberi da nocive forme di competizione, possono ritornare bambini, risvegliando una ‘memoria organica’ dimenticata e sepolta: questo luogo è il closlieu. Un luogo chiuso, non lontano da noi, al riparo dagli sguardi, un luogo fornito di colori e pennelli, dove da soli si lavora giocando in compagnia degli altri: senza competizione, senza paura di essere giudicati, senza timore di sbagliare. E piano piano quella stanza dei colori, che la prima volta ci era sembrata inconsueta, diventa un piccolo rifugio dove rigenerarsi.
Non è necessario saper dipingere. Una volta a settimana, per grandi e piccoli insieme, dai 4 ai 99 anni. Al termine di ogni seduta ci si riunisce tutti per un tè con biscotti.
È possibile partecipare con la mamma, il babbo, il fratello o la nonna. Insieme o da soli.
Info: Georgia Galanti, 393 8882831
HO INCONTRATO ARNO STERN
Ho incontrato Arno Stern alcuni anni fa, frequentando il suo corso di formazione in Svizzera e a Parigi. Prima (e ancora oggi) tenevo laboratori un po’ ovunque, incontravo i bambini spesso con le loro maestre, materne, elementari, medie… Era difficile trovare una maestra che non avesse scritto sulla fronte: maestra…