Ho incontrato Arno Stern

Ho incontrato Arno Stern quasi tre anni fa, frequentando il suo corso di formazione in Svizzera e a Parigi. Prima (e ancora oggi) tenevo laboratori un po’ ovunque, incontravo i bambini spesso con le loro maestre, materne, elementari, medie… Era difficile trovare una maestra che non avesse scritto sulla fronte: maestra… Volenti o nolenti, tutte comandavano, e i bambini, nolenti o volenti, ubbidivano. E poi i giudizi: c’era il bambino bravo, quello distratto, quello intelligente, quello terribile. Così me li descrivevano – senza curarsi di parlare davanti ai bambini, che mi spalancavano gli occhi, sgranandoli quasi fino alla frattura della pupilla sempre più estesa. O quando costantemente le maestre intervenivano afferrando matite e colori e mettendo le mani nel loro disegno, convinte di agire bene, ma facendo sentire il bambino sempre più inadeguato e incapace. Mi sconcertavano questi interventi, li vivevo come una invasione, ma non ne afferravo bene l’origine e le conseguenze.

Di fatto, io per prima, come educatrice e come genitore, mi sentivo “comandante della barca”. Sia pur in maniera meno invadente, poiché dieci anni fa avevo frequentato a Reggio Emilia il master per atelieristi di Reggiochildren, per un anno, con educatori e insegnanti provenienti da tutto il mondo, e questo mi aveva aperto la mente, e si stava molto attenti a non imporre. Ci invitavano a collaborare con le maestre nelle elementari e nelle materne, ed erano sempre i bambini, i veri fautori. Poca prevaricazione e molta collaborazione, e tuttavia aleggiava un atteggiamento inconscio di superiorità. Lo stesso che ci appartiene come genitori, pensando di averne il diritto, poiché i figli sono nostri e decidiamo per loro.

Poi ci fu l’incontro con Stern, duro, univoco, diretto, e molte cose sono cambiate. In me stessa prima di tutto, e di conseguenza nel rapporto con i bambini nei laboratori, ma anche nel mio ruolo di genitore. Stern affronta diversi aspetti e sviluppa molti concetti. Si scoprono piano piano, e si capiscono piano piano. Molte persone, la prima volta che lo sentono parlare, per difesa lo attaccano, ma lui, sempre calmo riflessivo e attento, non si lascia mai scalfire. Una sua affermazione che mi colpì molto fu: se tuo figlio dice che due più due fa tre, non lo correggere. Non sei tu il tenutario della ragione. Lascia che lo scopra da solo il risultato giusto, non indicare subito lo sbaglio.

"Il motore di tutto è l’entusiasmo, ho creato il closlieu per tenerlo in vita, perché spesso in molti luoghi lo abbattono" dice Stern. Come un fiammifero con un forte vento. Il primo giorno di corso in Svizzera, ricordo che ero un po’ stordita. Sorridevo. Mi sembrava impossibile che nel closlieu potessero accadere tante magie. Che fosse un luogo così potente. Ma ecco che appena ho avuto la possibilità di iniziare concretamente, allestendo un closlieu quest’estate per 10 giorni al Festival di teatro di Santarcangelo, e assumendo il ruolo di praticien—così Stern chiama il conduttore dell’esperienza—, ecco che tutto è apparso chiaro. E sono partita per quest’avventura. Verso qualcosa di unico, di non immaginabile, di possibile.

L’esperienza a Santarcangelo mi ha fatto inoltre vedere tante altre possibilità. Mi sono resa conto, per esempio, che il closlieu è veramente un luogo per tutti e non solo per i bambini: l’insegnante in pensione che, entusiasta e curiosa, si accosta per la prima volta; il maestro delle elementari che da anni studia Stern e cerca di avvicinarsi al suo metodo per allontanarsi dai dogmi scolastici e avvicinarsi con più verità ai bambini; la bambina che viene tutti i giorni con gioia e un giorno entra arrabbiata, se ne vorrebbe andare, poi invece inizia e nel foglio ritrova il nonno poeta che non ha mai conosciuto; la mamma apprensiva che con il bimbo di 3 anni lì dentro si dedica al suo disegno, lasciando libero il bimbo, che felice dipinge sentendo la sua presenza accanto, ma non il soffocamento; la bambina down che all’inizio è molto sfrombolona e poi invece continua a ripetere piano piano e a dipingere delicatamente con tanta fatica e grande soddisfazione; la signora pittrice, infastidita dalle mie regole, che in realtà sono quelle di Stern, perché lei vuole fare a modo suo; un gruppo di 10 persone, amici e parenti, che si sono regalati un’esperienza dove individuale e collettivo si manifestano insieme; la ex insegnante che racconta di come 30 anni fa avrebbe voluto aprire lei un closlieu, "ma se non si ha il coraggio e la pazzia di fare le cose—dice—i treni non passano più e la voglia ti rimane per sempre"; la signora che appena davo le disposizioni rispondeva sempre "ah sì, adesso si che va bene"; il babbo con moglie e figli che solo alla fine riesce liberarsi del bastone di comando; la bambina che non vuole andarsene mai all’uscita; il bambino piccolo che mette subito in chiaro le cose e alla mamma ripete: hai capito che qui non comandi?; il bambino che ha timore di entrare e poi dice alla mamma che lui il closlieu lo vuole nella sua stanza; le adolescenti che ritrovano il gusto del colore e del segno; il bambino molto schivo e restio che si abbandona e realizza un gigantesco dipinto…

Quello che accade nel closlieu è singolare. Nel closlieu ognuno lavora sul proprio grande foglio di carta usomano, e perciò di buona qualità, appeso alle pareti, ma accanto agli altri, condividendo gli strumenti, pennelli e colori. Tutti si è responsabili di un qualcosa che si impara subito ad amare, senti che dividi con gli altri, ed è tuo mentre è di tutti. Ecco che viene fuori il rispetto, lo si vive, senza insegnarlo. Può capitare—per esempio—per disattenzione, di sporcare un pennello. La prima volta che succede si cerca di nasconderlo; ma appena si scopre che non si è sgridati, che s’impara per la volta successiva, e che, altrimenti, chi ci rimette è l’altro, che lo prende sporco, ecco che immediatamente uno dice: pennello da lavare… oppure: colore sporco…

Non ci sono giudizi, non c’è un maestro. C’è qualcuno che si occupa delle cose pratiche, affinché tutto sia funzionale. Non qualcuno che dà i voti, o che dice: bello, bravo; oppure: non va bene, o giusto, o sbagliato. Non ci si sente incapaci. Mai. Si impara ad accettarsi. Ci si fortifica, si dialoga con una parte di noi. Molti bambini già dopo la prima elementare arrivano con l’idea che non sanno fare. Delusi, affranti, demotivati. Per fortuna, il closlieu nella maggior parte dei casi li porta subito in un altro contesto. E piano piano tutto cambia. Non ci sono temi, ognuno disegna quello che vuole. Ci sono delle regole: come si prende il pennello, il colore, o non disturbare né andare nel foglio dell’altro, eccetera. Sono fondamentali, anche i bambini più piccoli le apprendono immediatamente, e con fierezza proseguono attivamente. I fogli piano piano si espandono, da uno ne arriva un altro, magari è un pesce, poi ha accanto altri pesci, e poi diventa un mare grande e popolato da tutti gli esseri che hanno intorno l’acqua invece dell’aria. Era materiale che ha preso la forma di quelle figure e che doveva fuoriuscire. Oppure si lavora per sessioni intere su un unico foglio, approfondendo i dettagli e sovrapponendo strati di colore. Al bambino non viene chiesto di fare un bel disegno, non viene domandato: cosa rappresenta? Qual è il titolo? E i disegni non si portano a casa. Rimangono nel closlieu, proprio per lasciarli al sicuro e sentirsi protetti, al fine di non incontrare l’approvazione dei genitori, che a casa, inconsapevolmente, per compiacere il figlio, direbbero: bello, bravo o anche: che roba è? potevi far meglio! La volta successiva, però so che posso trovare il mio disegno, e riprenderlo, il mio progetto continua. Oppure si interrompe, sono io a deciderlo.

Alla fine dell’anno i genitori (o un adulto partecipante) possono chiedere un appuntamento con il praticien, (in questo caso con me) e si trovano davanti a tutti i disegni dell’anno appesi. Senza giudizi, senza interpretazioni. Si osservano. E si entra, per un attimo, nella parte intima senza violare. E si vede come ognuno abbia avuto una possibilità preziosa, quella di percorrere attraverso la traccia il suo mondo, esterno e interno. Come se qualcosa da dentro uscisse all’esterno, con forza e dolcezza, e come se qualcosa dall’esterno entrasse dentro, con gratitudine e felicità. Come afferma Stern: "Un bambino con un pennello in mano non è un bambino che impara a dipingere, ma un bambino che impara a essere".

I closlieu sono presenti in varie parti del mondo, a Milano, a Roma, a Parigi, in Germania, in Brasile, in Marocco; e in luoghi diversi, ospedali, carceri, oratori, scuole, stanze di appartamenti, e questa è la stanza dei colori. Ho deciso di fare il closlieu perché è un modo per camminare a fianco agli altri, né dietro né davanti, perché ha più a che fare con la vita che con l’arte, perché segue l’essere e il suo fiorire, perché guarisce senza essere una terapia, perché è un luogo dove nessuno e niente ti disturba, perché è un posto dove si sta bene, perché tutto succede senza fare niente per farlo avvenire.

Georgia Galanti

Closlieu – La stanza dei colori
San Giovanni in Marignano, agosto 2014