Recensione

AL.FA.Brescia Oggi02 December 2010

Il vampiro, la sorella e il lato oscuro dell'anima

Al Piccolo Teatro Libero per la rassegna di «AmiciCompliciAmanti»

Il vampiro, un tema più volte rievocato nel corso degli anni, recentemente tornato alla ribalta con la saga di Twilight, che ha dato il via ad una prepotente emorragia (è proprio il caso di dirlo) di libri e pellicole con protagonisti i principi delle tenebre per eccellenza. Con quella sua malinconica dannazione alla solitudine, ma anche capace di incarnare l’inconfessabile nascosto in ciascuno di noi, il vampiro può fregiarsi del titolo di più grande seduttore di tutti i tempi. Ma le fonti cui attinge «Il Vampiro», messo in scena lunedì sera al Piccolo Teatro Libero, vanno ad abbracciare e fondere l’Ottocento gotico di John William Polidori e il Novecento di Marina Cvetaeva, i due autori cui Andrea Nanni si è ispirato per costruire un doppio monologo in cui la stessa vicenda - la seduzione del Vampiro nei confronti delle sue vittime - viene narrata da due diversi, e a volte inconciliabili, punti di vista: quello di un giovane lord inglese e quello dell’ancor più giovane sorella, interpretati con straordinaria eleganza da Silvio Castiglioni ed Emanuela Villagrossi. I due fratelli, entrambi maturi, narrano nello spazio teatrale completamente privo di scenografia, le confessioni mancate (sottotitolo dello spettacolo), ossia le due facce del proprio romanzo di formazione. In un gioco di luci ed ombre, realtà e follia si confondono, mentre la storia si svolge attraverso le parole, per uno spettacolo di breve durata (un’ora) ma che richiede la massima concentrazione. La cadenza estremamente lenta di tutto l’impianto, infatti, quasi «penalizza» l’interpretazione della Villagrossi (più onirica e «cupa» rispetto alla prima parte riservata a Castiglioni), che arriva quando l’attenzione dello spettatore è già stata «prosciugata» (come un vampiro) dal racconto del fratello. Un viaggio comunque godibile e attraente, tra i sogni proibiti e le passioni malcelate che quotidianamente covano nel lato oscuro del nostro animo.

E forse aveva ragione Massimo Introvigne nel suo libro del 1997, «La stirpe di Dracula» (da recuperare per tutti gli amanti del genere), quando scriveva: «I vampiri siamo noi».