Recensione

Diego VincentiHystrio01 November 2008

Duello d'anime per voce sola

Quando si hanno parole splendide è sufficiente una sedia. E un grande attore. Domani ti farò bruciare sono manciate di minuti di teatro emozionante, minimalismo scenico che racchiude a forza dimensioni gigantesche: di testo, talento, forza comunicativa. Castiglioni accoglie lo spettatore come se uscisse da un quadro di Otto Dix, indolente e storto sulla sedia a braccioli. Ma senza bocchino e lo sguardo deviato da Repubblica di Weimar alle soglie del baratro. No, lo sguardo è qui più costruito, quasi snob nei tratti calato in un universo dostoevskiano dal quale Andrea Nanni ricava un monologo che dosa con sapienza pause e crescendo, omogeneo pur nel suo essere patchwork drammaturgico. Dai Fratelli Karamazov, taglia e cuci di storia della letteratura, intorno al celebre confronto fra l’inquisitore e il prigioniero. È davvero un Cristo quell’uomo destinato a essere lasciato libero? Conversazione in assolo che riesce a spezzare le forme della narrazione. Senza etichette, si diventa altro. Ed è lì che subentra la sostanza interpretativa. Duello fra anime che Castiglioni nutre e asseconda. Il risultato spiazza. Perché dalla polifonia esce un coro che parla all’uomo, alla sua inadeguatezza al mondo, alla sua impotenza di fronte agli aneliti di libertà. Un uomo che necessita di rappresentanza perché solo nella servitù trova quella tranquillità a lui cara più di ogni altra cosa. Uomo/bovino, di istinti e pane e soldi, incapace di avvicinare nel concreto i discorsi della divinità. Castiglioni ha una fisicità dirompente, è carne e invadenza, nonostante mai si allontani dalla sedia. Ricorda Peter Seller delDottor Stranamore, a tratti genialmente nevrotico, a tratti fermo in stasi contemplative. Il flusso espositivo abbandona il misticismo russo, le sue specificità, verso un universale che parla grammatiche comuni. Denuncia indefinita, senza nomi né cognomi: tutti all’indice, impossibilitati a dare risposte. Travolti e un po’ emozionati. Come dovrebbe sempre essere il teatro.